martedì 3 novembre 2009

Dandy ed esperti


di Stefano Pietrosanti
A volte le persone sembrano ridursi a due tipi umani: il dandy e l’esperto. Uno sguardo troppo distaccato e uno troppo vicino all’oggetto di studio. Se fossero professori, il primo non farebbe lezione, discorrerebbe invece con la platea disceso dal palco, spalle alla cattedra, magari appoggiandovi sopra – di sbieco – il gomito. Non scriverebbe nulla; solo ogni tanto, toccandosi la giacca spiegazzata, si fermerebbe per chiedere con distrazione “mi state seguendo?”. Non che gliene debba importare molto, solo un “mi state seguendo?” sospeso per rendere il fatto che in fondo siamo tutti umani e che poco o nulla decidiamo lì, in quell’aula, in quella stanza, in quella struttura, ma tutto fuori, nei nostri casi, nei nostri incontri, nella nostra vita. Né sforzi, né fatica, ma preponderante il meccanismo impersonale del mondo che per l’entrare o non entrare in quell’ascensore a quel momento decide della realizzazione o non realizzazione di un uomo e non concede appelli straordinari. Il secondo avrebbe sicuramente la cravatta, ma non sarebbe in tono con la giacca – troppa la fretta nello sceglierla – e, con in mano un mouse-puntatore laser, correrebbe come un beagle impazzito tra lavagna, computer e proiettore. Dare il meglio, fare il meglio. E’ futile? Non importa. Solo restringendo l’indagine a un dato intorno d’attimi si può raggiungere un senso, per quanto minuto. Certo anche un invisibile refolo di senso è meglio e più del non-sense imperituro, ottenebrante; ha dedicato la vita a qualcosa lui, che fosse lo studio del ripetersi di un segmento di informazioni genetiche o dell’eterogeneità dei dati statistici non importa. L’ha dedicata. La vita come dono. La vita come milizia. Militia vita ominum super terram est. Lo diceva Lutero, tirando una lunga linea di gesso bianca sulla parola “perdono”. Anche lui non farebbe sconti, ma diverso il metodo: una prova continua. La differenza tra un’unica distratta richiesta d’impossibile pagamento e l’insistenza dell’usuraio shakespeariano, ogni giorno davanti alla porta per fare il conto degli interessi composti. Fatica, sudore. Lui sorride. Quando studiava non ha visto il mare per quattro anni. Lo dice sorridendo. Lui ha ristretto così tanto lo sguardo da non perdersi. Ha focalizzato, perfettamente e come nessuno mai, un unico punto e crede – rinsecchite in un angolo fuori fuoco tutte le domande turbative di questa quiete – di essere felice.
Quando le persone sembrano ridursi a questi due tipi umani, ti ricordi, in un attimo raccolto come di preghiera, che abbiamo semplicemente tanta paura. Forse abbiamo perso il frammento di granito, l’oplita, il cittadino greco.

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