martedì 24 novembre 2009

E SE IL MISTERIOSO CONTINENTE DI ATLANTIDE FOSSE...LA SARDEGNA?


di Fabrizio Bossoli
“Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d'Ercole, c'era un'isola. (...) In tempi posteriori, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare, scomparve”. Così parla Platone nel “Timeo” prima e nel “Crizia” poi, descrivendo lo splendore di Atlantide, una terra di forma rettangolare, ricca di fertili praterie, di sorgenti di acqua calda e fredda e di alte montagne che la difendevano dai venti del Nord; dove il sottosuolo era ricco dei più pregiati metalli, dove il terreno dava raccolti due volte l'anno, e la “popolazione delle torri” viveva a lungo ed in serenità. Questa isola perduta ha da sempre costituito un punto fermo dell'immaginario collettivo, un luogo mitico, sogno proibito di qualunque aspirante seguace di Indiana Jones, e nel corso del tempo in molti si sono dunque adoperati per individuare la porzione di globo terrestre in cui situare Atlantide. Ciò su cui si era comunemente d'accordo era però di basarsi sullo Stretto di Gibilterra (per l'appunto le “colonne d'Ercole” per definizione) come punto di partenza per ricercare poi, prevalentemente nelle acque dell'Oceano Atlantico, il corretto posizionamento della mitica isola. Ed è proprio qui che secondo Sergio Frau, giornalista di La Repubblica, nasce l'errore che ha reso per secoli inaccessibile la soluzione del mistero di Atlantide; se infatti le colonne d'Ercole erano realmente il limite estremo del mondo allora conosciuto dai Greci, e se oggi sappiamo che essi non si spinsero mai oltre Malta (perché, come documentato, nel Mar Tirreno era massiccia la presenza dei Fenici), ecco allora che ci accorgiamo dell'esistenza di un altro stretto, dove i Fenici stessi ponevano l'inizio delle terre della divinità di Eracle-Melquart: il Canale di Sicilia. E al di là delle riposizionate colonne d'Ercole, ci si chiede se esista davvero un'isola di forma rettangolare, in cui si alternano ritmicamente boschi, ridenti praterie e zone montuose, e in cui il sottosuolo era anticamente ricco dei più pregiati metalli (da qui il nome del Gennargentu). Un'isola in cui ancora oggi la popolazione è definita “degli anziani più anziani”, un'isola che all'epoca era caratterizzata dalla presenza di oltre diecimila giganteschi menhir che, del tutto sconosciuti ai Greci, non avrebbero potuto non impressionare qualsiasi visitatore...E la risposta a questa domanda, come intuibile, è che tale isola altro non possa essere se non la Sardegna stessa. Se a tutto ciò si aggiunge che, attorno al 1200 a.C., un fortissimo sisma sottomarino provocò effettivamente un maremoto di grandi dimensioni, colpendo soprattutto la Sardegna meridionale e radendo al suolo e sommergendo di fango la maggior parte dei menhir esistenti, ecco diventare difficile anche per i più scettici negare una relazione di sorta tra queste incredibili coincidenze. Se così fosse, certo ci troveremmo di fronte ad una scoperta di grandi proporzioni; e tuttavia, se si guarda alle ragioni per le quali Platone ebbe a parlare di Atlantide, se si comprende il valore di una società governata dalla armonica ricerca della sapienza, del coraggio, della temperanza e della giustizia, se si ammette quanto ci sia bisogno, ancor di più nella frenetica vita odierna, di una simbolo utopico a cui rivolgersi ogni volta che sia necessario, ecco che forse sarebbe più utile lasciare Atlantide lì dove è, nell'immaginario collettivo, senza darle una forma storica e geografica. Atlantide forse necessita di rimanere un sogno perché, come sostiene Aristotele, è dai sogni che nasce la speranza.

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