martedì 10 novembre 2009

Questo crocefisso non s’ha da fare


di Claudia Giannini
«La presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione».
Con queste parole la Corte europea dei diritti dell’uomo sancisce il divieto di esporre il crocefisso nelle aule scolastiche. La sentenza è del 3 novembre scorso e ha segnato l’inizio in Italia di un dibattito pronto a durare a lungo.
La decisione è stata presa in seguito all’appello di una cittadina italiana di origine finlandese, Soile Lautsi Albertin, che dopo i rifiuti da parte dei tribunali italiani, ha deciso di fare ricorso presso la corte di Strasburgo.
Ma le conseguenze di questa decisione non si sono fatte attendere, anzi infiammano gli animi di tantissimi italiani, che si sono sentiti colpiti in una tradizione radicata come quella cristiana o nella loro propria fede. Non sembra tuttavia legittimo questo risentimento; anzi fa risaltare la legittimità e la giustezza della decisione europea.
Si, perché si può intendere il crocefisso o come puro simbolo di fede o con significato ‘culturale’, laddove comunque questo ‘culturale’ resta piuttosto vago. In entrambi i casi non ci sono ragioni per ammettere il crocefisso in aula. Se rappresenta una fede, è ciò che di più lontano può coniugarsi con un ente pubblico come la scuola, che dovrebbe avere un altissimo livello di laicità, proprio perché pubblico, laddove pubblico vuol dire di tutti, non dei soli cristiani.
D’altra parte molti italiani lo elogiano in quanto simbolo della cultura italiana. E a questo punto c’è da offendersi, perché la tradizione italiana è molto più ricca di quanto un crocefisso possa rappresentare. Certo la cristianità ne rappresenta alcuni contenuti, ma non tutti.
Basti pensare al fatto che il crocefisso è entrato nelle aule scolastiche solo nel 1859 con la Legge Casati e ne è stata legittimata la presenza ufficialmente solo sotto il fascismo, dunque in periodi storici in cui la linea di confine tra stato e chiesa era tutt’ altro che demarcata.
Ma oggi che l’Italia non è più un Paese confessionale, oggi che si grida alla laicità e soprattutto all’incontro di culture, l’ostentazione di questo simbolo religioso in ambienti pubblici appare realmente fuori luogo.
Il valore della tradizione o della fede per i credenti, va custodito in altro modo, nel profondo di se stessi, lasciando ai luoghi pubblici il loro ruolo d’incontro e di confronto. Anche perché il crocefisso non vuol dire Italia. L’Italia, si spera, è molto altro di più.

Nessun commento:

Posta un commento