martedì 29 giugno 2010

Watergate: ovvero quando l'intercettato è un Presidente


di Martina Nasato
Ultimamente, qui in Italia, è tutto un discutere sull'urgenza e la necessità di questo ddl sulle intercettazioni, alias “legge bavaglio”. Chi invoca il diritto alla privacy e chi si appella al diritto di cronaca e alla libertà di informazione, chi richiede la massima segretezza per le indagini giudiziarie e chi denuncia la fortissima limitazione proprio degli strumenti di indagine. Ancora, chi chiede ad un pubblico adorante: «Volete essere tutti intercettati?» per sentire un coro di «No!» a comando, e chi, in preda all'esaltazione grida: «Intercettateci tutti!» arrivando quasi a giustificare regimi di polizia altrettanto non democratici. Negli Stati Uniti, circa quarant'anni fa, si verificò uno scandalo senza precedenti, che sconvolse l'opinione pubblica mondiale, il “Watergate”. Esso venne alla luce solo grazie alla grande libertà di cui gode da sempre la stampa statunitense e alle intercettazioni. Tutto ebbe inizio la notte del 17 giugno 1972, con quello che sembrava un tentativo di furto da parte di cinque uomini presso la sede del comitato elettorale del Partito Democratico, nell'hotel del Watergate Complex di Washington. All'epoca il Partito Repubblicano del presidente Nixon perdeva consensi a causa soprattutto della guerra in Vietnam, e quando si venne a sapere che i cinque arrestati al Watergate Hotel erano entrati per riparare delle microspie che avevano piazzato alcune settimane prima e che, soprattutto, si trattava di persone collegate al Comitato per la Rielezione del Presidente Nixon, l'apertura di un'inchiesta fu inevitabile. Due giornalisti del Washington Post, Woodward e Bernstein, vennero a conoscenza dei fatti e li pubblicarono, portando l'attenzione dei media sull'accaduto. Per paura di essere coinvolto, Nixon ostacolò le indagini, poi negò di averlo fatto e di essere a conoscenza delle stesse. Quando i giudici chiesero al Presidente le registrazioni effettuate da un apposito sistema presso la Casa Bianca, questi si rifiutò per “ragioni di sicurezza nazionale”, poi pretese e ottenne l'allontanamento dei magistrati responsabili dell'inchiesta. In seguito, messo sotto pressione dall'opinione pubblica, anche grazie alle inchieste pubblicate dal Washington Post, Nixon rese pubblici solo alcuni frammenti delle registrazioni, che risultarono in larga parte fortemente danneggiate, ma che comunque fecero emergere le azioni ai danni dell'opposizione e i successivi tentativi di depistaggio delle indagini . Finalmente, nel 1974 i giudici misero sotto accusa sette collaboratori di Nixon. Nello stesso anno vennero scoperte altre tre registrazioni (delle quali una in particolare fu definita “la pistola ancora fumante”) che provavano come nel 1972 Nixon in persona avesse dato ordine all'FBI di insabbiare lo scandalo Watergate. Il Presidente presentò le dimissioni il 9 agosto 1974, per evitare l'ormai imminente impeachment. Quel che più d'ogni altra cosa dovrebbe saltare agli occhi degli italiani oggi, è il ruolo fondamentale che ebbero quarant'anni fa, dall'altra parte dell'Oceano, le registrazioni telefoniche la stampa libera e non condizionata dal potere politico: è solo grazie a questi due elementi che la giustizia statunitense è venuta a capo della vicenda in poco tempo e, soprattutto, che il popolo americano ha saputo la verità. Perché anche i presidenti a volte vengono intercettati e devono rispondere delle loro azioni.

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