martedì 31 agosto 2010

Disoccupazione e debito pubblico non fermano Alfano


di Martina Nasato

Il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha nei giorni scorsi dichiarato che il Governo provvederà a reperire “fondi straordinari” per il processo breve. La giustizia italiana, si sa, ha tempi biblici, un po' a causa dell'ingombrante burocrazia, un po' a causa degli stessi italiani: quasi tutti refrattari alle regole della civile convivenza e piagnoni nell'animo, si rivolgono ai giudici anche per la risoluzione di banalissime liti condominiali. I sostenitori di questo disegno di legge lo promuovono come una necessaria riforma della giustizia, i detrattori lo dipingono come un'amnistia, o peggio, impunità legalizzata. Riassumendo in cosa consiste e cosa comporta il processo breve: esso si prefigge di accorciare i tempi della prescrizione, la quale scatterebbe dopo due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero per i processi in corso in primo grado e per reati inferiori ai dieci anni di reclusione. Virtualmente, in questo modo la formula giudiziaria sarebbe più veloce e la pratiche snellite. All'atto pratico, però, molti cittadini che attendono giustizia vedranno le loro speranze crollare. Secondo le stime effettuate dal Governo, un processo nel nostro paese ha una durata media di circa sette anni e mezzo. Il processo “breve” non potrebbe durare più di sei anni in tutto. E se le parti lese non vengono soddisfatte? E se nei tre gradi di giudizio non si è riusciti a risolvere la questione? Amen. L'illecito o il reato sono prescritti e l'imputato non è più perseguibile. Non “assolto”, come dice qualcuno, ma “non perseguibile”: anche se colpevole, non salderà il conto con la giustizia. Così, mentre ancora si discute sull'effettiva utilità ed efficacia reale di questa “riforma giudiziaria”, il Ministro della Giustizia comunica all'Italia che verranno reperiti fondi straordinari (presi da dove?) per la sua messa in atto. Nel frattempo, però, sempre più famiglie vivono di sussidi, liquidazioni e cassa-integrazioni; le aziende, le fabbriche, la produzione si spostano all'estero e lo Stato non fa nulla per impedirlo; gli italiani devono “stringere la cinghia” e prepararsi alla Manovra di Tremonti, nostro Grande Timoniere. Per fortuna di questi governanti, i governati sono troppo impegnati a sopravvivere.

Il mare catarsi


di Claudia Giannini
Scese dalla navetta che l’aveva portata al mare. Attraversò la ghiaia con passi decisi. Con sé, solo una borsa di paglia colma di pagine.
Le famiglie che tornavano dal mare salivano sulla navetta. Lei faceva il contrario. Il mare lo raggiungeva in quel momento, sul calar del sole. Si addentrò nella pineta e, viaggiando tra i pensieri, percorse una stradina stretta. Si sentiva vuota, come una scatola che avanzava tra gli alberi per inerzia.
Giunse alla passerella che portava alla spiaggia. Si tolse i sandali e scese attraverso una duna. La spiaggia era segnata dai passi di chi era appena passato, segnata da vite sconosciute che avevano condiviso un pezzo di mondo.
Camminava lentamente, verso la riva. Si fermò solo quando l’acqua le bagnò i piedi.
Poi un gesto veloce, ma meticoloso.
La borsa a terra. Vuota. I fogli in mare, uno ad uno.
A quel punto si accovacciò, le ginocchia davanti al viso, le mani intorno alle ginocchia, il mento poggiato.
Guardò i fogli scorrere via, qualcuno indugiando, qualche altro veloce.
E pianse. Pianse dapprima piano, sibilando. Poi sempre più forte, stringendo i denti. A singhiozzi. Urlava quasi, le lacrime ormai le avevano bagnato completamente il viso.
Se le portò via il mare quelle lacrime, una ad una. Le prese in sé togliendole dai suoi occhi, come aveva preso quelle righe scritte su fogli ormai ingialliti dal tempo.
Solo il mare sapeva di lei. Solo il mare sapeva il suo segreto.
Il mare confidente. Il mare catarsi.

martedì 24 agosto 2010

Il teatro greco di via Palermo: nessuno spettacolo


di Matteo Napolitano
Forse, a parte i cittadini che abitano la zona o le zone limitrofe, in pochi conoscono il teatro greco situato tra via Napoli e via Palermo a Latina. Questa struttura, inserita all’interno di un parco, è uno dei tanti simboli dello spreco di risorse urbane e culturali del capoluogo poiché, senza troppi problemi (pulizia e ristrutturazione a parte), potrebbe essere sfruttata, in modo particolare durante la stagione estiva che ben si presta a spettacoli teatrali o musicali all’aperto. Ma queste si sa, in qualsiasi città o paese che sia prendono il nome di possibilità, nella nostra non possono che essere denominate “utopie”.
La struttura architettonica del teatro segue la più classica tradizione greca (V-IVsec. a.C.) ossia una costruzione a cielo aperto composita di tre elementi fondamentali: la cavea (koilon) a pianta semicircolare, la scena (skené) a pianta allungata e disposta perpendicolarmente all’asse della cavea e l’orchestra (orkhestra) circolare, lo spazio mediano tra la cavea e la scena, il fulcro del teatro greco riservato al coro.
Questo spazio è lasciato da anni in uno stato di totale abbandono, è diventato nel tempo preda di vandali che hanno ben visto di togliere i mattoni dalla cavea, rifugio di tossicodipendenti che abbandonano le siringhe nello spazio circostante e di ragazzi (tra cui il sottoscritto), che trovano in quello spazio un luogo in cui poggiarsi a chiacchierare e a suonare nelle serate vuote della nostra cara “fantasmopoli”.
Non scomodatevi per niente, se incuriositi da quest’articolo, a cercare informazioni sul progetto iniziale di questo teatro su internet poiché non si trova assolutamente nulla, né l’anno di costruzione, né tantomeno cosa sarebbe potuto diventare, sappiamo che è lì ma non sappiamo il perché, e a dircelo, né oggi né nel futuro prossimo, non sarà sicuramente il sito ufficiale del comune di Latina, in assoluto uno dei più fatiscenti che abbia mai avuto il piacere di visitare (visitate i siti AGGIORNATI dei comuni delle grandi metropoli di Sezze o di Bassiano e capirete meglio di cosa parlo).
Cambiano i luoghi e cambiano gli argomenti ma questa sinfonia nella nostra amata comunità sembra non cambiare mai, e allora, se il poeta greco Simonide aveva ragione nel dire “la città è la maestra dell’uomo” non c’è troppo da meravigliarsi quando, purtroppo, ci sentiamo tutti un po’ ignoranti.

Es la dulce vida de España


di Riccardo Di Santo
Ormai mi dovrebbero promuovere come corrispondente estero alla redazione dell'Agronauta, dato che, tra un pensiero lì ed un dubbio qui, sempre più spesso finisco per osservare e riportare dall'estero per far riflettere da noi a casa. Con l'arrivo delle tanto agognate ferie estive per i miei genitori il progetto delle vacanze è stato molto più ambizioso che in precedenza: España. Sarebbe troppo facile pensare a mezzi comuni di locomozione per raggiungere la metà come aerei o navi o perfino il caro buon vecchio treno; Cosi, influenzati dal caro buon vecchio spirito d'avventura degli Italiani che partono alla scoperta di nuove esperienze, è stato optato per un viaggio on-the-road. Tralasciando la parentesi ligure (tirchi ma cuochi nati) e francese ( su cui talvolta amiamo esagerare con pregiudizi sparati a caso) voglio parlare direttamente della terra della “Reconquista”. Innanzitutto con gli spagnoli più che inglese è preferibile parlare in Italiano, vista la vicinanza delle due lingue, tuttavia, data la presenza di numerose parole diverse nonchè dei c.d. falsi amici ( provare a chiedere "un pochito di burro por favor"a colazione e vedrete), è meglio comprare un vocabolario per evitare scene "Fantozziane". Personalmente ero abituato a vedere ai nostri parenti Latini con diversi epiteti: i Francesi erano altezzosi e pensavo di essere chissà chi, I portoghesi non seli filava nessuno mentre gli Spagnoli erano i nostri cugini sfigati dato che se si trovavano al di sotto della situazione economica nostrana dovevano trovarsi veramente in condizioni pietose. Ora come al solito i pregiudizi hanno vita breve dato che quello che ho trovato a Barcellona, Zaragoza, Madrid e Toledo fino ad adesso (dato che grazie alle email e alla santa connessione wi-fi tutta l'europa è collegata tranne... indovinate chi?) è stato tutt'altro; ho visto un giovane e moderna società dove tutto ciò che per noi è oro colato qui è semplice la normalità. Connessioni internet gratis e rapide, coppie omosessuali camminare senza nascondersi per strada ma nel contempo evitando di esagerare con le efusione per la buona educazione di cui sono ricolmi, padroni che raccolgono gli escrementi dei proprio cani, raccolta differenziata in tutti i quartieri della città. Non vi basta? Zone desertiche dell'Aragona, vista l'impossibilità di coltivare per il caldo e per il terreno montuoso, trasformate in enormi centri di Energia Eolica, che è fornita senza costi aggiuntivi per lo stato ( alla faccia di Sgarbi che ha scoperto non solo che la mafia esiste ma che essa è imprenditrice anche!!). Autostrade vuote di autovelox ma piene di persone che, sebbene posseggano macchine da grosse cilindrate rimangono nei 120 km/h di limite ( andate a vedere sulla pontina o sul GRA se cosi succede da noi). Tutto ciò comporta una riflessione dato che ci lamentiamo sempre di tizio, caio e sempronio, ma diciamoci la verità: noi singoli cittadini e famiglie, siamo meglio? O usiamo la scusa che il mondo è cosi e ci adeguiamo di consequenza? Meglio berci un bicchiere di Vino Tinto e godersi queste ferie, Buona Estate a tutti!!!

martedì 17 agosto 2010

Per passare? Un fiorino...


di Claudia Giannini
Lo spunto per arrabbiarmi questa volta me lo ha dato l'ultima trovata del Fasci-sindaco Alemanno. La sua nuova proposta, ancora una volta anticostituzionale, è quella di porre una tassa ai cortei.Detto brutalmente: vuoi manifestare? Devi pagare per farlo. Non importa che tu sia associazione, sindacato o partito. Per occupare il suolo pubblico, non solo devi far richiesta, dare preavviso, ricevere il nullaosta. Da oggi, potresti addirittura dover pagare una tassa.Il Fasci-sindaco ha giustificato la folle idea con l'osservazione che, per ogni manifestazione, il Comune è costretto a sborsare soldi per l'organizzazione, la sicurezza, le pulizie. Questo c'è dalla sua parte. Dalla parte di tutti gli altri, di tutti i cittadini che nella loro vita hanno partecipato, parteciperanno o seplicemente approveranno una manifestazione, c'è l'Art. 17 della Costituzione: "I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi".E per quanto riguarda l'aspetto economico, che sembra interessare più di tutti Alemanno, si può obiettare che dovrebbe essere lo Stato, lo stesso Stato che vigila sulla libertà di manifestazione, a coprire le spese necessarie a garantire tale diritto.Una proposta fuori dal mondo quella di Alemanno. O forse, una proposta che non fa che accodarsi alle altre numerose che in questi mesi stanno minando seriamente i fondamenti della nostra Repubblica.Basta pensare alla famigerata "Legge bavaglio" che da un lato colpisce la stampa, dall'altro limita direttamente lo strumento prezioso delle intercettazioni.In tutto ciò, io continuo ad aspettare qualche intervento della presunta opposizione. Non so, una manifestazione, ma anche un corteo, non penso di chiedere molto. Tutto questo, è ovvio, quando Bersani finirà di spalmarsi la crema solare.Nel frattempo i fasci-sindaci e i ministri dell'In-giustizia, facciano pure il loro comodo, l'estate è lunga.

De Andrè canta De Andrè


di Andrea Passamonti
Devo essere sincero: quando ho comprato il biglietto non mi sarei mai aspettato un ottimo concerto. Buono sì, ma non ottimo. È il solito problema dei “figli di” quello di essere considerati inevitabilmente proprietari di una corsia preferenziale verso il successo senza essersela meritata del tutto. Se poi ti chiami De Andrè, tuo padre Fabrizio è stato uno dei cantautori più importanti della musica italiana e decidi di fare tu stesso il cantante allora quella corsia verso il successo potrebbe diventare un vero e proprio campo minato. Ancor di più se giri l'Italia cantando le sue canzoni.
Sarà balenato per più di qualche testa questo pensiero mentre il pubblico di Villa Adele, ad Anzio, sedeva sabato scorso aspettando Cristiano De Andrè sotto un cielo che non prometteva nulla di buono. Il nostro si fa aspettare e non c'è da stupirsi se dalla scelta della taglia migliore per l'immancabile t-shirt si finisce per discutere con un tale di critica anarchica del carcere, del Panopticon Benthamiano passando per Foucault. D'altronde padre e figlio sono di indubbia fede anarchica, come Cristiano dirà di lì a poco, e qualche riflessione sul tema può scappare.
Il concerto inizia sotto un breve scroscione di pioggia, contrastato dagli ombrelli portati dai più previdenti e da qualche albero, che però non riesce a guastare le prime canzoni rigorosamente in dialetto. Dal vivo la sua voce è ancora più simile a quella del padre e il genovese incrementa le loro affinità.
Il concerto prosegue. Cristiano suona la chitarra, il violino e la pianola dimostrandosi artista polifonico. Spiega che le canzoni sono riarrangiate insieme a Luciano Luisi per consentirgli di raccontare attraverso i suoi gusti musicali le canzoni del padre e inserisce qualche simpatico aneddoto sulla vita di Fabrizio tra le canzoni: Smisurata preghiera, La canzone di Marinella, Andrea, Un giudice...
Poi arriva Creuza de ma, quello straordinario inno alla sua città e ai suoi marinai, anche questo accompagnato da una leggera pioggia, ma questa volta al diavolo gli ombrelli! Questa è poesia e le gocce d'acqua sembrano portarci su quei viottoli di mare della sua Genova.
Più di due ore di concerto che, dopo i classici Bocca di Rosa e Il pescatore, termina con la commovente Canzone dell'amore perduto.
Non c'è altro da aggiungere, Cristiano De Andrè è riuscito nel suo intento: dimostrare di essere un grande artista e ricordare la figura di suo padre Fabrizio, figura geniale e inimitabile. Figura da non dimenticare.

Cosa pensare di una destra vintage


di Stefano Pietrosanti
Nelle azioni di Fini e dei suoi, negli ultimi tempi, sembra esserci una certa serietà, in quanto il rischio a cui l’operazione messa in atto espone i protagonisti non è indifferente e il lavoro preparativo, soprattutto ideologico, per una volta in Italia non è misero e puramente funzionale.
Per ora sono evidenti le capacità tattiche del Presidente della Camera, ma rimangono dubbi sulle sue abilità strategiche. Le maggiori incongruenze del quadro che si disegna, pensando alle azioni succedutesi negli ultimi mesi, riguardano il potenziale bacino elettorale a cui Gianfranco Fini vuole riferirsi nel caso – ormai decisamente probabile – che si arrivi a un confronto elettorale in cui il neo-costituito gruppo parlamentare si trovi contrapposto e non incluso nel caldo ventre del PDL. Partendo dal fatto che Fini voglia rimanere a destra, che modello di destra si propone? Sicuramente distante dalle involuzioni forza-leghiste dell’ultimo ventennio, non sembra nemmeno richiamare il bagaglio ideale dipinto poco prima della crisi - in una significativa intervista sull’Espresso - da Tremonti: non sembra di essere davanti a una semplice visione DC di destra, o MSI imborghesita, che voglia predicare Dio, Patria e Famiglia senza fare la faccia feroce e riferendosi con pochi veli al concetto di conservatorismo compassionevole. Nelle dichiarazioni degli aderenti a Futuro e Libertà, come dalla lettura dei siti vicini alla compagine finiana, è evidente la distanza anche dai colori immaginati dalla mai veramente nata nuova destra: nei meeting di Farefuturo c’è voglia di essere establishment, scarsissimi i richiami effettivi a tematiche antagoniste in prospettiva di comunitarismo tradizionalista, magari anche green e “alternativo”.
Decisamente, più che verso una nuova destra, il riferimento forte sembra diretto a una destra antica (preistorica?), una destra che, in un momento di riflessione davanti alle effigi di Cavour e Sella, si fosse fermata, avesse preso un respiro e si fosse domandata se non stesse tradendo i suoi avi in nome dell’ultimo Presidente del Consiglio e se non fosse il caso di recuperare le sane abitudini di famiglia: moralità da antichi liberali, compostezza borghese, legalitarismo costituzional-democratico, razionalismo burocratico, laicità come marchio istituzionale.
Un solo appunto: ci si chiede come si possa portare avanti un programma simile in alleanza con l’UDC e il movimento autonomista di Lombardo.
Nel 1995, Furio Colombo e Vittorio Foa scrivevano un piccolo saggio: “il sogno di una destra normale”, guardando alla defascistizzazione di Fini più che al fenomeno Berlusconi; alla fine, Fini si dimostrò solo un dito che indicava una Luna da Arcore. Chissà che magari oggi non si limiterà ad indicare un’altra Luna, di luminosità confindustriale.

martedì 10 agosto 2010

Gli affitti universitari: un furto legale


di Claudia Giannini
E’ proprio nel mese di Agosto che inizia la ricerca di alloggi universitari. Tutti gli studenti di Latina che frequentano La Sapienza di Roma e hanno necessità di seguire quotidianamente i corsi, sono costretti o a vivere una vita da pendolari, perdendo circa tre ore al giorno in spostamenti, o a cercare un alloggio in sede.
Nel primo caso, la spesa mensile è di 78 euro per l’abbonamento che include anche gli spostamenti all’interno della città di Roma. Nel secondo caso, i prezzi degli affitti di stanze o posti letto nella Capitale, sono a dir poco proibitivi.
Per salvaguardare il diritto allo studio, esiste l’ A.di.Su, un ente che tramite l’erogazione di borse di studio e posti letto negli alloggi universitari, va incontro alle esigenze degli studenti “meritevoli, ma privi di mezzi”.
Tuttavia, la macchina burocratica che sta dietro ai bandi di assegnazione, anche se nata per salvaguardare la legalità delle operazioni di selezione, e la difficoltà di reperire informazioni dettagliate in proposito, sono spesso demotivanti.
La possibilità inoltre di accedere all’assegnazione dei posti alloggio è molto ridotta, essendo poche le strutture a disposizione rispetto al numero delle richieste.
Quindi lo studente fuori sede che, pur avendo partecipato al bando, non riesce ad accedere alle borse erogate, deve trovare una soluzione alternativa.
E basta muoversi su internet o nelle bacheche di facoltà per restare esterrefatti di fronte ai prezzi degli affitti di un semplice posto letto.
Un letto in doppia, infatti, varia dai 250 euro mensili, ovviamente spese di consumo escluse, ai 350 nelle stanze più ampie e magari nei pressi della facoltà. Per le singole la situazione è simile, non si troverà mai una stanza, non troppo decentrata, a meno di 450 euro, sempre spese escluse.
Di fronte a una situazione così grave, non penso sia sufficiente il contributo, pur importantissimo, dell’A.Di.Su. Una soluzione alternativa sarebbe quella di porre un tetto massimo, stabilito legalmente, al prezzo degli affitti universitari o magari agevolazioni fiscali per tutti coloro che affittano stanze a studenti.
Questo perchè laddove il mercato diventa così libero da essere inaccessibile e proibitivo, lo stato dovrebbe intervenire e salvaguardare effettivamente i diritti dei cittadini.

Rimini Rimini


di Riccardo Di Santo
La vacanza estiva 2010 è stato il coronamento dei sogni di ciascun ventenne italiano: destinazione Rimini!! Il comune romagnolo, favorito dalla sua indiscussa fama di città festaiola dove il divertimento è a portata di mano (insieme a sesso e droga direi), è decisamente una delle mete più ambite dai giovani pontini e non. Ora nonostante fossi in vacanza, non sono riuscito a liberarmi del mio classico spirito “inquisitore” andando cosi a stressare voi lettori riferendovi, anziché la prestanza fisica delle turiste russe, i punti forti e deboli di questa meta di paradiso sperando che qualcuno ne tragga ispirazione per la nostra città. Cosi impossibile da non notare, dato che risaltava agli occhi, era l’enorme presenza della forza pubblica: non passava giorno che, passeggiando sul lungomare, fumando una sigaretta sul balcone dell’hotel oppure trovandomi alla guida, non incontrassi o una autopattuglia od un posto di blocco di una qualsivoglia branca delle autorità. Naturalmente dubito che tutto questo dispiegamento di forze potesse portare ad evitare i piccoli casi di criminalità che sono i più sentiti dalla popolazione, ma di sicuro esso dava un senso di sicurezza che ti abbracciava e che aveva anche i suoi punti forti: provate voi a trovare un ubriaco al volante oppure casi di violenza per strada che si risolvevano da soli; ad esempio se due turisti ubriachi si picchiavano per una strada bastava una telefonata e dopo cinque secondi l’autopattuglia più vicina accorreva sul posto. Una macchina ostruiva il passo carraio? Due minuti ed il carro attrezzi era sul posto a rimuoverla. Parliamo adesso del trasporto pubblico, dato che con il nuovo codice della strada coadiuvare la discoteca con le norme è divenuta cosa impossibile. Il codice afferma che i neopatentati non possono assumere alcol? Nessun problema, a Rimini è l’autobus che si fa il giro delle discoteche tutta la notte fino a mattina inoltrata, dato che sono esse stesse a versare un contributo al comune affinché ciò sia possibile. Cosi orde di turisti e non possono affluire ai centri di Riccione e Rimini (e relative discoteche) bevendo quanto vogliono, per quanto sia sconsigliabile, ma non per questo causando problemi o peggio; naturalmente della vocazione turistica risentono i prezzi, che vanno da 1,50€ per una bottiglietta d’acqua ai 15€ per un Mojito (a buon intenditore…). Ho visto l’acqua di Rimini, e al confronto Latina è la Sardegna e Sabaudia è paragonabile alle Seychelles. Ora assumere la stessa fama della sorella romagnola per la nostra Latina è pressoché impossibile, ma copiare od ampliarne le idee per i nostri cittadini? Divenire un punto di riferimento turistico, non solo per il mare, nel Lazio è cosi difficile o manca l’iniziativa? Pensate i soldi che entrerebbero nelle nostre tasche, altro che nucleare e i suoi connessi posti di lavoro! Speriamo che qualche genio o santo alla lettura ci faccia un pensiero.

martedì 3 agosto 2010

Priverno Film Festival: “girare” il futuro


di Matteo Napolitano
Quando sentiamo dire per le strade, tra la gente nelle piazze e nei locali che a Latina non c’è mai un bel niente da vedere, da ascoltare o soltanto da gustare nel mezzo di una passeggiata al centro, non possiamo dare torto a nessuno. Purtroppo. In compenso possiamo senza dubbi affermare di avere una provincia che ogni anno di più si mobilita con iniziative culturali, spazi serali di dibattito, piazze vive piene di musica, mercatini, turisti e persone incuriosite anche dal solo “fattore movimento”.
Lo scorso fine settimana il comune di Priverno in collaborazione con l’associazione culturale “Viale del cinema” (piccola stradina nel centro storico di Priverno) ha proposto la seconda edizione del “Priverno Film Festival” svoltasi all’interno del locale “Tacconibus”, un’iniziativa straordinaria che ha coinvolto registi provenienti dai più disparati paesi del mondo e moltissimi corti proposti, dalla cui cernita, sono risultati i venti finalisti di cui dodici italiani e otto stranieri. La Spagna è il paese più presente con ben quattro cortometraggi di cui tre baschi, seguono immediatamente la Romania e una co-produzione Polonia-Belgio. Sono stati presentati anche due corti extra-europei, uno americano e uno coreano, e moltissimi corti d’animazione, tra cui l’ironico e interessante “Il pianeta perfetto” di Astutillo Smeriglia. Era presente al festival anche un breve film sperimentale e il corto “Amona Putz” di Telmo Esnal già applaudito lo scorso gennaio nell’ambito del “Festival pontino del cortometraggio”.
L’iniziativa ben organizzata e ben seguita conferisce i premi “Miglior regia” (assegnato a “Cotton candy” di Aritz Moreno) e il “Premio del pubblico” (“Rec Stop & Play” di Emanule Pisano) proprio come stimolo e incentivo intellettuale sia per gli emergenti registi sia per la platea, che deve in qualche modo improvvisarsi critica e giudicare secondo i propri gusti le trame proposte.
Quello che ci auguriamo è che questa manifestazione possa avere seguito anche nei prossimi anni e soprattutto che le venga dato sempre più risalto affinché possa diventare punto di riferimento e di riflessione per amministrazioni, come quella del capoluogo pontino, che in maniera menefreghista stanno allontanando sempre più la cultura, e soprattutto lo spirito culturale, dai luoghi in cui tutti siamo cresciuti e in cui, nel bene o nel male, viviamo ogni giorno in modo tristemente apatico.
Per maggiori informazioni sul festival vi invito a visitare il sito dell’associazione http://www.vialedelcinema.it/. Buona visione!

Emergency riapre l'ospedale di Lashkar-gah


di Martina Nasato
Giovedì 29 Luglio il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah, in Afghanistan, ha riaperto i battenti. Un team composto da un chirurgo, due infermieri, e un logista internazionali, e da 140 afgani fra personale medico, amministrativo e ausiliario ha ripreso possesso della struttura, ancora sigillata dal 10 aprile scorso. La chiusura era avvenuta a seguito di un'irruzione nell'ospedale da parte di poliziotti e uomini dei servizi segreti afgani e di militari inglesi: il coordinatore medico dell’ospedale di Lashkar-gah Matteo Dell’Aira, il coordinatore del Programma Afganistan Marco Garatti e il logista Matteo Pagani vennero prelevati dai militari e portati in un luogo sconosciuto insieme a sei lavoratori afgani dell’ospedale. Fu solo attraverso alcune agenzie di stampa che si apprese che i membri dello staff di Emergency erano sospettati di un complotto per uccidere il Governatore della provincia di Helmand: il video dell’operazione mostrava il ritrovamento nel magazzino dell’ospedale di alcune scatole contenenti armi ed esplosivi. I tre italiani vennero rilasciati dopo una decina di giorni senza alcuna accusa nei loro confronti.
Lo scorso lunedì una delegazione guidata proprio da Gino Strada, fondatore di Emergency, ha incontrato il Governatore della regione di Helmand per verificare le possibilità di riapertura dell'ospedale. Lo stesso Governatore, infatti, aveva vincolato la ripresa delle attività ad alcune condizioni, tra le quali la presenza di militari afgani intorno all'ospedale e il passaggio della gestione della struttura al Ministero della Sanità locale. Emergency aveva rifiutato questi compromessi in evidente contraddizione con il suo mandato, e aveva avanzato le sue richieste: libero accesso per tutti i feriti alla struttura e rispetto dell'ospedale, «un luogo neutrale dove non si esercita violenza», da parte di tutti. Il Governatore si era detto d'accordo su questi punti e così si è potuto ricominciare.
Sulla decisione hanno influito le continue sollecitazioni della società civile afgana: da quando il Centro di Lashkar-gah era stato chiuso, la popolazione locale aveva perso il luogo di cura fondamentale (esso era infatti l'unico ad offrire assistenza chirurgica gratuita e di alta qualità in tutta la provincia di Helmand).
La riapertura dell'ospedale è stata festeggiata domenica in Piazza S. Marco a Venezia con un concerto che Patti Smith ha voluto dedicare all'evento.