martedì 17 agosto 2010

Cosa pensare di una destra vintage


di Stefano Pietrosanti
Nelle azioni di Fini e dei suoi, negli ultimi tempi, sembra esserci una certa serietà, in quanto il rischio a cui l’operazione messa in atto espone i protagonisti non è indifferente e il lavoro preparativo, soprattutto ideologico, per una volta in Italia non è misero e puramente funzionale.
Per ora sono evidenti le capacità tattiche del Presidente della Camera, ma rimangono dubbi sulle sue abilità strategiche. Le maggiori incongruenze del quadro che si disegna, pensando alle azioni succedutesi negli ultimi mesi, riguardano il potenziale bacino elettorale a cui Gianfranco Fini vuole riferirsi nel caso – ormai decisamente probabile – che si arrivi a un confronto elettorale in cui il neo-costituito gruppo parlamentare si trovi contrapposto e non incluso nel caldo ventre del PDL. Partendo dal fatto che Fini voglia rimanere a destra, che modello di destra si propone? Sicuramente distante dalle involuzioni forza-leghiste dell’ultimo ventennio, non sembra nemmeno richiamare il bagaglio ideale dipinto poco prima della crisi - in una significativa intervista sull’Espresso - da Tremonti: non sembra di essere davanti a una semplice visione DC di destra, o MSI imborghesita, che voglia predicare Dio, Patria e Famiglia senza fare la faccia feroce e riferendosi con pochi veli al concetto di conservatorismo compassionevole. Nelle dichiarazioni degli aderenti a Futuro e Libertà, come dalla lettura dei siti vicini alla compagine finiana, è evidente la distanza anche dai colori immaginati dalla mai veramente nata nuova destra: nei meeting di Farefuturo c’è voglia di essere establishment, scarsissimi i richiami effettivi a tematiche antagoniste in prospettiva di comunitarismo tradizionalista, magari anche green e “alternativo”.
Decisamente, più che verso una nuova destra, il riferimento forte sembra diretto a una destra antica (preistorica?), una destra che, in un momento di riflessione davanti alle effigi di Cavour e Sella, si fosse fermata, avesse preso un respiro e si fosse domandata se non stesse tradendo i suoi avi in nome dell’ultimo Presidente del Consiglio e se non fosse il caso di recuperare le sane abitudini di famiglia: moralità da antichi liberali, compostezza borghese, legalitarismo costituzional-democratico, razionalismo burocratico, laicità come marchio istituzionale.
Un solo appunto: ci si chiede come si possa portare avanti un programma simile in alleanza con l’UDC e il movimento autonomista di Lombardo.
Nel 1995, Furio Colombo e Vittorio Foa scrivevano un piccolo saggio: “il sogno di una destra normale”, guardando alla defascistizzazione di Fini più che al fenomeno Berlusconi; alla fine, Fini si dimostrò solo un dito che indicava una Luna da Arcore. Chissà che magari oggi non si limiterà ad indicare un’altra Luna, di luminosità confindustriale.

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