martedì 30 novembre 2010

La Gente Nostrana


di Riccardo Di Santo
«Gloria(…) ai piatti pieni a tavola, la gente nostrana senza boria né buriana e via (…) a questa bocca di sole che mi toglie le parole» questo canta Zucchero nella sua ultima canzone “E’ un peccato morir”, ed è più che una singola strofa di una qualsiasi canzone se ascoltata nella giusta occasione. Tale mi si è presentata mercoledì sera sul treno regionale che da Termini, dopo una lunga ma interessante lezione di diritto Penale, mi riportava a Latina: il treno sovraffollato di studenti, lavoratori, famiglie italiane e non. In piedi, con l’ipod in tasca e le cuffie nelle orecchie per lasciarsi andare nella musica senza pensieri, mentre ascoltavo queste strofe mi guardavo intorno e penso di non aver mai potuto trovare scena più adatta: una signora benestante che leggeva una rivista di moda sorrideva alla bambina dagli occhi a mandorla che tentava di ricordarsi il congiuntivo mentre la madre tentava di aiutarla in un italiano maccheronico, una studentessa italiana di lettere che porgeva il dito giocando ad un bambino nero mentre il padre tentava di farlo stare buono in inglese, un venditore casertano di calzini ambulante che tentava di vendere un pacco di calzini a sei euro ad un altro commerciante pendolare che sorrideva empaticamente al goffo tentativo, ed altre scene di c.d. “terza classe”. Dov’era la magia mi chiedete? In un Italia com’è la nostra oggi non è cosi facile trovare sorrisi anziché sguardi sospettosi, mani che accarezzano bambini invece di ritrarle nella paura che siano sporchi di chissà quale schifezza, parole anziché offese ed epiteti razzisti: velo assicuro, era un sogno. Forse il nostro odio e diffidenza, sebbene talvolta giustificato da atteggiamenti completamente incivili da parte del nostro vicino, è solo il frutto di anni ed anni di terrore, omertà e maleducazione, mischiato ad un forte menefreghismo dello stato? Signori siamo noi lo stato, non le facce da pupari in tv, siamo noi e torneremo ad esserlo anche sostanzialmente: la torre di Pisa, il Colosseo e la Mole Antonelliana le abbiamo occupate perché nostre.

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