martedì 25 gennaio 2011

Tanti auguri Signor G


di Alessandro Lanzi
Esattamente settantadue anni fa, nasceva a Milano uno degli artisti più poliedrici che l’Italia abbia mai visto sui suoi palchi: Giorgio Gaberscik, in arte Gaber.
Inizia la carriera artistica come chitarrista in vari gruppi, come i Rock Boys di Celentano, che da Milano tentano la strada del successo, finchè non sarà lui a percorrerla, ma da solo, dal 1960 fino al 2003, anno in cui è morto. Gli anni sessanta lo vedono presentatore sui generis di ben nove programmi Rai, in cui concatena la conduzione al canto, alla recitazione dei primi monologhi ed alla satira. Questi ultimi due ambiti costituiranno il terreno sui cui si dipana tutta la sua successiva attività artistica, che “rinasce” nel 1970, quando ormai stufo della televisione conformista tenta una formula mai provata in Italia, quella del teatro-canzone, di cui oggi gli riconosciamo la paternità. Sul palco il multiforme Gaber si mostra come un attento sociologo, indagatore della realtà italiana, di cui mette a nudo i vizi e le virtù, descrive i padroni sfruttatori “I borghesi” e i lavoratori sfruttati, come in “Il tic”. Pensatore anticonformista anticlericale e cittadino partecipe della vita politica, prende le distanze dai partiti e dai loro dirigenti. Emblematici sono al riguardo, oltre la celebre “La libertà”, i brani “Il voto”, in cui irride sui politici che ancora oggi siedono in Parlamento , e “Il corrotto”, che sembra, per noi oggi, il pensiero di Berlusconi riguardo le donne.
La visione sempre più pessimista della società italiana, che lenta scivola in un processo di decadenza non solo politica, ma anche culturale, sociale e civile trova espressione nell’ultima opera che Gaber ci ha lasciato “La mia generazione ha perso” a cui farà seguito, dopo la morte, la pubblicazione dell’album “Io non mi sento italiano”.
Oggi non so quanti lo ricorderanno, ma quelli che lo faranno tengano bene a mente il sunto della sua opera, volta ad affermare l’unicità del singolo individuo, che rimane tale finchè pensa, critica e agisce: “…terminologicamente la parola massa non ha senso ed è forse un’invenzione delle scienze sociali, per cui tutto ciò che viene fatto per la massa viene fatto per un’entità inesistente”.

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