lunedì 17 ottobre 2011

Finché la barca non va...

di Andrea Passamonti

Ogni persona sana di mente sa che la manifestazione del 15 ottobre ha visto due componenti  completamente diverse: la prima fatta di giovani e meno giovani che marciavano indignati contro l’un percento della popolazione che vivrebbe a danno del novantanove; l'altra composta da pseudo manifestanti che, nascondendosi all’interno del corteo, hanno messo a ferro e fuoco la città.

Sulla seconda si è detto molto, quindi non è necessario soffermarvisi, ma varrebbe la pena dare un’occhiata al blog di Vittorio Zucconi su Repubblica.it, per comprendere che se la situazione è degenerata è sì colpa dei black bloc da stadio, ma c’è sicuramente il contributo di chi avrebbe dovuto farsi trovare preparato. Le immagini in cui le forze dell’ordine venivano sovrastate dai riottosi non testimoniano di certo a favore delle amministrazioni responsabili.
Un gran peccato, ha detto Mario Draghi, ma il peccato più grande è sicuramente la mancata attenzione verso i veri contenuti di questa manifestazione. C’era curiosità, almeno da parte di chi scrive, nel vedere se il movimento italiano si sarebbe mosso nella stessa direzione di quello di Wall Street. Perché l’indignazione, in una situazione come questa, è comune sicuramente al novantanove percento, ma le risposte possono essere completamente diverse.
C’è un senso di malessere, questo è innegabile, ma qual è la ricetta per uscire dalla crisi? Non che debbano fornirla i giovani e meno giovani del lungo corteo, ma ci si aspetterebbe qualche proposta. Per carità, non una finanziaria con tutti i capitoli di spesa per il prossimo anno, ma una qualche indicazione, quella forse sì.
La mancanza di mozioni è probabilmente dovuta alla triste conclusione della manifestazione di ieri, ma si vuole veramente buttare via questo sistema economico oppure si vuole cercare di migliorarlo?
Levare un grido di protesta è lecito, giusto, ammissibile e condivisibile, ma arrivati a questo punto, non basta gridare contro i palazzi della finanza o verso la BCE, né prendersela solamente con la politica politicante. Le prospettive sempre più cupe sul futuro sono sicuramente dovute alle scelte più o meno sbagliate prese ai piani alti delle istituzioni nazionali e nazionali, ma non solo.
I giornali europei, spesso giustamente citati quando attaccano il Premier, sottolineano altrettanto spesso come Berlusconi e i suoi siano solamente la punta (seppur molto ingombrante) di un iceberg ben più imponente. E questo perché se nella seconda Repubblica non si è riusciti a fare una vera riforma degna di questo nome, è anche per lo spirito di conservazione che negli ultimi anni ha caratterizzato il popolo italiano.
Per ripartire è dunque necessario non solo un cambiamento al timone di questa grande barca che è l’Italia, ma serve anche rimboccarsi le maniche, riparare le falle e provare a ripartire.
In caso contrario, avremo solo una barca che perde acqua, ma puntata nella giusta direzione.

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