venerdì 6 gennaio 2012

Cronache d'oltremanica


Ormai dovrei fare il corrispondente estero per l'Agronauta, dato il numero di volte che, per piacere o per studio, mi ritrovo fuori dall'Italia.
Stavolta tocca a Londra, e devo dire che se il vostro orizzonte non supera la linea immaginaria della zone 2 del trasporto pubblico, qui la crisi non sembra tanto esistere. Orde di turisti pronti a spendere fino all'ultimo euro, pardon, pound nei saldi invernali della capitale inglese, un costo della vita piuttosto nella media europea oltre che ad un traffico di auto di lusso che trova pochi paragoni in Europa, non danno un idea di un paese con l'acqua alla gola. Ma al di fuori dei fasti e delle luci della City più famosa, la situazione è estremamente diversa: la disoccupazione è rampante, i salari non vengono adeguati all'inflazione e i riots della scorsa estate sono tutt'altro che acqua passata. La gente ha fame, la gente è arrabbiata. Leggendo i giornali quest'aria non si respira; Titoli principali sono stati il discorso del PM Cameron circala necessità delle infermiere di dedicare più tempo ai propri pazienti, ascoltandoli, e la sentenza di condanna di 2 uomini bianchi per l'omicidio di un ragazzo nero (ved. Caso Lawrence) nel 1993 che divise il paese in maniera forte come pochi altri casi di etnicità riuscirono a fare. Eppure nella grande Londra i musei sono aperti e gratuiti, le borse di studio sono accessibili per i meritevoli inglesi e non (ma và calcolato l'alto costo delle università qui), e i trasporti funzionano a meraviglia (solo chi c'è stato può capire la soddisfazione della continua voce che ti dà news sullo stato del sistema e/o ti ricorda di stare attento allo scalino). La globalizzazione qui ha colpito forte, e basta vedere il numero di ristoranti etnici, italiani compresi, e la nazionalità dei gestori dei negozi. Ora se la Gran Bretagna se la cava come noi, se non peggio, dal punto di vista economico, chi mi sa spiegare come mai, anche se qui si taglia la spesa e si alza l'età pensionabile, qui si continua ad investire, aprendosi al mondo e ai mercati, mentre da noi ci si piega alla logica della “casa dolce casa” e ci si culla in essa? Paura dei cambiamenti? Paura di orde di immigrati alle porte a rubare lavori? Vi dirò un segreto: bisogna preoccuparsi più di quando i migranti preferiscono non venire in Italia, di quando essi vi accorrono in cerca di speranza.

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